«Che ci vuole a fare un post al giorno per il blog?». Niente, pensavamo.
Ci siamo sopravvalutati. E di brutto. A fatica riusciamo a non farci travolgere dalla valanga di persone e di cose da fare che si accavallano e si incrociano a bordo. La partenza da Rimini solo cinque giorni fa sembra lontana anni luce e da allora non siamo riusciti nemmeno a scrivere una riga per raccontare questo viaggio. Manca il tempo e poi, diciamolo, siamo così dentro a quello che viviamo che staccarsene per mettersi al computer diventa una fatica.
Non tutto si può comunicare, non c’è social che tenga, le devi vivere le cose per gustartele. Devi starci dentro e basta. Devi sentire la stanchezza fisica di una giornata passata a imbarcare e sbarcare bambini, sentire le risate notturne dei ragazzi di diciassette anni (ma sti’ maledetti non dormono mai?), devi vedere i loro sforzi per fare la navigazione stimata (nella tratta Cesenatico - Chioggia secondo i loro calcoli eravamo più o meno all’altezza del primo bar di Porto Garibaldi. Forse vicino alla panetteria: non s’è capito bene). Devi sentire cantare lo zio Vito che ha nella testa più canzoni di Spotify. Oppure entrare nei musei, trovare le persone che hai sempre e solo sentito per telefono e scoprire che aver lavorato insieme a questo progetto te li fa sentire come vecchi amici. Non fosse altro perché sai esattamente che cosa provano davanti ai vecchi oggetti di mare, che sia la rete da pesca o il trapano a mano o un trabaccolo. In quegli oggetti ci vedono quello che vedi tu: la persona che li ha usati e i gesti che ha fatto e le cose che ha pensato. Noi lo sentiamo moltissimo con le barche: davanti a una vecchia signora del mare sentiamo il rumore dei passi di chi ci ha navigato, le voci. Le barche hanno un’anima. Su questo non ci piove.
(Ma come si fa a scrivere il blog se ogni cinque minuti ti interrompono? Ok, siamo appoggiati al tavolo da carteggio ma non è un buon motivo per farci spostare. Come? Anche questi ragazzi devono fare navigazione stimata? Se tanto ci dà tanto, ci ritroveremo di nuovo in un bar.)
Cerchiamo, a fatica, di tenere il filo. La tappa di Cesenatico ha il volto di Davide Gnola, di Vincenzo Cardella (Vincenzo: ci hanno già sfilato l’ultimo poster! Mannaggia) del MAS di Marina di Ravenna, di Maria Luisa Stoppioni di Cattolica e di Alberto di E' Scaion di Viserbella (Finalmente abbiamo capito che cos'è lo scaion: una specie di rastrello per le vongole). E poi i bambini. Una sfilata di musetti senza denti che salgono a bordo a bocca spalancata: “A me manca questo!” “Ieri mi è caduto un dente..:” “Io qui ne ho due nuovi…”. Semplicemente adorabili. Il porto canale ci è scivolato attorno con i suoi pescherecci, le sue case, i suoi vecchi signori in bicicletta e le ‘sdore che ci salutano da riva.
Il trasferimento a Chioggia. Partiti con il sole per poi essere lentamente avvolti dalla foschia. Non si vedeva una beata cippa. I ragazzi di guardia, a tre per volta. Finalmente in silenzio. Uno di fianco all’altro a scrutare nel buio e ad ascoltare il rumore dell’acqua sulla prua. Mezz’ora e poi il cambio. E in attesa del turno in cuccetta a giocare a carte. Un gioco ancora da ragazzini, con le carte da SOLO. Giampi, il nostro secondo, li guarda e scuote la testa: «Belin! Che gioco è?» e infatti la sera dopo l’hanno stracciato a scala quaranta. Nessuno però può battere lo zio Vito. Troppa esperienza, troppa vita, troppa umanità, troppa allegria in quest’uomo: non c’è gara.
(Noi ci proviamo a fare il blog. Ma non è niente facile: mentre scriviamo il carteggio prosegue e non è una bella cosa da sentire. I ragazzi danno, letteralmente, i numeri. Giampi dice: “Ora vi filmo e mando ai vostri prof!”. La minaccia non sortisce alcun esito visibile e udibile.)
Ci vorrebbe una donna per attirare la loro attenzione. Una come Anna Ramponi del Civico Museo di Chioggia. Nei mesi scorsi ce la siamo immaginata esattamente com’è Anna Ramponi: una bella ragazza, luminosa, efficiente, che ama il museo come se fosse suo. L’unico problema che abbiamo rilevato con lei è che la sua presenza ha molto distratto i ragazzi del Venier di Venezia durante la visita. Hai un bel dire ai diciassettenni “Guarda la bellezza di questi attrezzi dei maestri d’ascia” se davanti ci sta una bella ragazza. Non ce la fanno.
Anche Carlotta Mazzoldi del Museo G. Olivi di Chioggia è esattamente come ci aspettavamo che fosse. Solare, terribilmente efficiente come può esserlo una donna, scienziata, mamma di due bambini. Dritta al punto e via così. (Intanto, quelli dietro di noi che devono fare il punto nave sono ancora in alto mare. Si parla di Atlantico, ma non eravamo in rotta per Pellestrina?).
A proposito di mamme lavoratrici. Che dire di Nicole Chimento? Grazie, grazie per la pizza, Nicole. E per i sorrisi e per l’accoglienza. E grazie pure per aver sposato uno spezzino. Giampi: “Belin! Uno speseo a Chioggia!” e via a parlare del Golfo (se ha la maiuscola è quello di Spezia, non si discute). Con gli spezzini è così: dovunque si trovino si ritrovano e dopo un po’ si scoprono imparentati alla lontana.
Abbiamo lasciato Chioggia la mattina del 14 gennaio con 15 nodi di grecale dopo aver incontrato Antonio e Roberto di Legacoop che hanno raccontato ai ragazzi che cos’è oggi il mondo della pesca. Servono pescatori, dicono, ma anche manager. Roberto Varagnolo spiega: “Vorremmo che così come è successo nel mondo dell’agricoltura i giovani si impegnassero nella pesca, un settore primario. E a questi giovani chiediamo di affrontare due grandi sfide: sostenibilità ambientale ed economica.» È possibile? Due immagini si sovrappongono: il pescatore che abbiamo visto in una delle postazioni multimediali del Museo di Cesenatico. Età indefinibile, un fisico asciutto e un volto come una carta geografica. In piedi sul ponte del suo trabbacolo a raccontare la fatica, il freddo, la paura di una vita scandita dal tempo del mare. L’altra immagine è quella di Roberto, nato in una famiglia con una lunga tradizione di pescatori, negli anni Ottanta in pieno boom della finanza e degli yuppie, si è lasciato alle spalle il mare per andare in un ufficio, come dice lui, «A contare i soldi degli altri». Un giorno quell’ufficio è diventato stretto, troppo stretto. E il richiamo del mare troppo forte. Ha lasciato la grisaglia ed è tornato a Chioggia a occuparsi di pesca. Perché, dice: «Dovevo tornare a vedere il mare». Un manager della pesca al quale i ragazzi hanno subito chiesto un consiglio: «Ce la possiamo mangiare la seppia che abbiamo pescato in porto?».
Segue discussione. La seppia è edibile o no? E sul destino della seppia vi lasciamo.
È arrivato il momento di salpare. Non riusciremo ad arrivare a Trieste a causa delle condizione del mare. Siamo tristi, pensiamo all'amico Scubini della Lega Navale e alla conferenza su mare e disabilità che ha organizzato, a Giulio e ai suoi "ragazzi" dell'università della Terza età con i quali avevamo in programma di fare "Un the con il comandante" (loro portavano i pasticcini noi il the) e pensiamo alle mamme che ci avevano scritto per venire con i bambini a bordo. E poi agli amici del museo: il curatore Enrico Mazzoli che, tra l'altro, ci ha salvato un pannello della mostra mandadoci in zona cesarini bellissime foto del Porto di Trieste con una email che diceva : "In zona cesarini si vincono i campionati" e Giuliana Possa del Comune di Trieste con la sua deliziosa efficenza. E poi i giovani del Mu/Ca di Monfalcone che ci dovevano raggiungere. Un appuntamento solo rimandato. Promesso.
Puntiamo su Venezia. Tappa straordinaria, si organizza in fretta e bene con la Marina Militare grazie al contrammiraglio Agostini, il comandante Merlini, il comandante Lucafò, il comandante Dell’Anna che con il rigore imposto dalla divisa e la passione di uomini di mare vegliano sul Museo Navigante. Li sentiamo vicini, come fossero qui con noi. Sulla giusta rotta, perchè finalmente questi zucconi di ragazzi ce l'hanno fatta.