Piccolo bastimento dei porti adriatici, usato per la pesca e poi per il traffico. Scafo tozzo e rigonfio, fondo piatto e largo, ruote sublimi, coverta allungata, timone enorme: due alberi a calcese, due mazze per verghe, due vele auriche e un polaccone. Manovra facile, poca gente, portata di venti infino a cencinquanta tonnellate.
Alberto Guglielmotti, Vocabolario marino e militare
IL TRABACCOLO, RE DELL'ADRIATICO
L'antenato dei cargo
Una nave da carico che tiene
bene il mare, queste caratteristiche hanno decretato per secoli il successo del trabaccolo, imbarcazione tipica dell'Adriatico, sulle cui origini gli esperti sono ancora divisi: si tratta probabilmente
è una derivazione della nave «tonda» del Medioevo. Ma da quando queste generose
imbarcazioni, con le loro vele colorate e i fregi delle famiglie marinare
solcano le acque dell’Adriatico? I primi documenti in
cui si parla di imbarcazioni «ad uso di trabaccolo» sono della seconda metà del
Seicento, nei primi decenni del Settecento invece si parla di trabaccoli. Dal
Settecento al Novecento su queste imbarcazioni viaggiavano le merci da un porto
all’altro dell’Adriatico. Erano veri e propri cargo che navigavano sempre a
pieno carico, merci legali e, spesso, anche di contrabbando, famose erano le
doppie paratie ricavate a bordo. Non solo veniva riempita la stiva ma spesso
anche il ponte era riempito di merci e l'abilità dei comandanti era leggendaria. Dall'Adriatico il trabaccolo si diffonde
in tutto il Mediterraneo, da Trieste alla Grecia, alla Sicilia. Stessa barca,
diversi i nomi: trabacolo a Venezia, trabacùl in Romagna, trabbacculè
in Abruzzo, trabaccuë in Puglia, trabàcculu in Calabria e
Sicilia. Trabacul o trabakuo in serbocroato e trapagon, trampacòn
in greco.
Il trabaccolo va alla guerra
Nella versione più diffusa il trabaccolo era attrezzato con due alberi armati con vele al terzo e un lungo bompresso munito di polaccone scorrevole. Barca solidissima, nei secoli è stata spesso impiegata in guerra: nel 1912 furono impiegati nella guerra dei Balcani. Durante la Prima guerra mondiale, dopo Caporetto l'esercito italiano li usò per difendere Venezia e per la ritirata delle truppe via mare e il recupero del materiale da Grado e Monfalcone. Fu grazie ai trabaccoli, impossibili da fermare, che furono garantiti i rifornimenti di viveri e munizioni alle truppe lungo i canali in laguna. Nel primo conflitto mondiale i trabaccoli furono in prima linea: tra San Donà di Piave e Caorle venne schierata la classe «Foca » costituita da trabaccoli armati con pezzi da 150/40. In pratica batterie galleggianti. Al termine della guerra rimasero ben pochi scafi disponibili. Ma più che l'artiglieria a decretare la fine di queste imbarcazioni fu l'avvento della navigazione a motore. I trabaccoli non erano più economici e la navigazione a vela non più remunerativa. La costruzione venne abbandonata ma la vita di queste barche prese una nuova piega. Il primo fu il signor Cornic di Chicago che prese un trabaccolo chioggiotto e lo trasformò in una imbarcazione da diporto. Altri trabaccoli sarebbero diventate barche da "passeggio".
Tra le sabbie dell'Adriatico
Tra le due guerre mondiali la
decadenza del trabaccolo, anche di quelli motorizzati,
diventa inarrestabile. Per un certo periodo vengono impiegati alle foci dei fiumi
per trasportare carichi di sabbia provenienti dai dragaggi. All'inizio della
Seconda guerra mondiale la Regia Marina lo utilizza per trasportare merci e
uomini da una sponda all'altra dell'Adriatico. In pratica diventa un mezzo da
sbarco: il basso pescaggio gli consentiva di arrivare fino a riva e poteva essere
agevolmente trainato in convoglio. Viene addirittura usato per l'addestramento delle truppe da sbarco italiane che avrebbero dovuto occupare Malta. Gli esemplari che furono usati per trasportare merci in Grecia e Albania vennero poi lasciati sulla sponda est. Dopo l'Armistizio molti tornarono ai trasporti illegali ma questa volta a viaggiare nascosti nelle doppie paratie erano i profughi giuliano-dalmati in fuga. I due conflitti mondiali decimarono la flotta dei trabaccoli: si calcola che nel corso delle due guerre le forze armate italiane impiegarono 168 trabaccoli, più della metà requisiti. A questi vanno
aggiunti i 50 usati dagli austro-ungarici nel primo conflitto mondiale,
più della metà di quelli registrati.
Finita a guerra i pochi trabaccoli rimasti tornarono al lavoro di trasporto della sabbia, indispensabile per ricostruire un paese in macerie.
Inesorabilmente con gli anni del boom economico queste imbarcazioni che avevano solcato l'Adriatico e il Mediterraneo per oltre due secoli vennero abbandonate. E moltissime andarono perdute.
I trabaccoli salvati
Uno tra i primi a riportare l'attenzione sui trabaccoli e più in generale sulle barche tradizionali dell'Adriatico, bragozzi, pieleghi, barchett, è stato Mario Marzari (1947-2000). Giornalista, fotografo, studioso e appassionato di mare Marzari ha raccolto una enorne quantità di documenti che alla sua morte sono stati donati al Museo Civico del Mare di Trieste che gli ha intitolato la Biblioteca. Dal suo libro Trabaccoli e pieleghi (Mursia) sono tratte le informazioni di questa pagina.
Gli ultimi trabaccoli
Veri e propri musei naviganti quesi trabaccoli, salvati dalla passione di associazioni, studiosi, marinai, sono parte del nostro patrimonio culturale.
Il trabaccolo Trinità, carico di frumento, salpò alla volta della Dalmazia, verso sera. Navigò lungo il fiume tranquillo, fra le paranze di Ortona, ancorate in fila mentre sulla riva si accendevano i fuochi e i marinai reduci cantavano. Passando quindi pianamente la foce angusta, uscì nel mare... I sei uomini e il mozzo manovrarono d'accordo per prendere il vento. Poi le vele si gonfiarono nell'aria tutte colorate in rosso e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero a sedere e cominciarono a fumare tranquillamente.
Gabriele d'Annunzio, Cerusico di mare