CANTI DI MARE: LA MUSICA PERDUTA

di Umberto Mosca

 

Nel 1841 Niccolò Tommaseo (Sebenico 1802-Firenze 1874)  dedicò uno dei settanta capitoletti della sua raccolta  Canti toscani ai canti di tradizione orale sul tema della vita del mare ma, come molti letterati della sua epoca e di quelle successive, il suo interesse era rivolto più agli aspetti poetici della tradizione popolare che a quelli musicali. Risultato: per molta musica popolare italiana, e in particolare per quella legata al mare, sono stati trascritti molti testi senza  la musica. E così dei canti del mare conosciamo le parole ma per moltissimi la musica è andata perduta. Considerato troppo a lungo un fenomeno popolare e di folklore e quindi non «degno» di attenzione e di tutela da parte della cosiddetta «cultura alta» questo patrimonio di musiche e canti non ha avuto la capacità o la ventura di influenzare o integrarsi con la cultura musicale «dominante», come è successo invece nei paesi di lingua anglosassone. Si contano sulla punta delle dita le trascrizioni musicali precedenti alla Seconda guerra mondiale: quelle di Antonio Favara sulla musica popolare siciliana, nelle quali troviamo trascritti  fedelmente molti canti di ambiente marino, tra cui anche qualche canto di lavoro sul mare; quelle di Giorgio Nataletti e Balilla Pratella.

È stato solo con l’introduzione sistematica delle moderne tecniche di registrazione prima fonografica, poi magnetofonica che è iniziato il vero lavoro di conservazione degli aspetti musicali della tradizione marinara. 

Per questi motivi le musiche e i canti della tradizione marinara in Italia sono ancora oggi un ampio continente poco esplorato, per lo più sconosciuto al grande pubblico. Anche dal punto di vista della ricerca etnomusicologia non risultano ricerche sistematiche sull’argomento, nemmeno localmente.

Per quanto frammentario e mancante di sistematicità, il corpus della musica di tradizione orale legata al mare è suddiviso in due tipi fondamentali di repertorio: canti di lavoro e canti della memoria, questi ultimi suddivisi in narrativi e lirici.


 

Il gruppo musicale la Moresca antica, ora trasformato ne la Morescha nova, dal 1989 svolge un lavoro di ricerca e di riproposta del repertorio italiano di musica delle tradizioni marinare, dal tardo Medioevo ai giorni nostri .

 
 

Tra i Cd pubblicati: Marinaresca, un primo approccio al repertorio nazionale: Li turchi alla marina, la memoria delle incursioni dei pirati saraceni sulle nostre coste nel canto popolare; Migrare, l’emigrazione delle musiche e delle persone italiane attraverso il mare.Il gruppo si è esibito in tutta Europa e in Giappone in innumerevoli occasioni, tra cui molte conferenze/concerto nei Musei del Mare 

 
 
 
 
 
 

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Il repertorio meno esplorato e conosciuto è quello dei canti di lavoro, in genere ad andamento marcatamente ritmico, destinati a sincronizzare manovre di terra o di bordo che richiedono il movimento coordinato di numerose persone. Abbiamo quindi canti per ritmare la voga, per alzare àncore o vele, per tirare canapi, alare o tirare a terra le barche, alzare o abbassare le reti della pesca, e così via. Si tratta in genere di canti ad antifona: una voce modula una melodia, in genere piuttosto semplice, che si muove nell’ambito di una quinta o una sesta e non richiede quindi grandi capacità vocali al cantore, in genere il capo della manovra, cui gli altri rispondono in coro, generalmente all’unisono, con una formula più breve che spesso indica l’azione da eseguire ( leva, leva…tira, tira….aiamola….carighêla ben…tire ca ve’…).

Nella tradizione dei canti legati alla pesca del tonno o del pesce spada in Sicilia vengono talvolta utilizzate melodie modali di chiara derivazione mediorientale, il cui  uso corrisponde  a una tradizione risalente alla dominazione araba, per la quale ancora oggi vengono usati molti termini arabi, come rais per indicare il capo della pesca. I testi verbali di questi canti hanno in genere a che fare con l’operazione che ritmano e che descrivono, oppure, più frequentemente si tratta di testi satirici o scherzosi, fino ad arrivare al non-sense; in qualche caso più raro possiamo trovare, come nel celebre canto dei battipali  veneziani, riferimenti storici a epoche diverse tra loro,  sincronicamente connesse nel canto.

Molto frequenti i riferimenti sotto forma di invocazioni, preghiere o ringraziamenti a Dio, Madonna e Santi protettori delle varie attività del mare o delle singole località, che hanno lo scopo di proteggere la vita degli uomini del mare o di assicurare la buona riuscita dell’attività, che sia pesca o navigazione, o il bel tempo sul mare.

Con l'avanzare della modernizzazione e della meccanizzazione questa musiche di lavoro sono scomparsa insieme alle attività quotidiane che le avevano generate.  

Esiste poi un secondo grande repertorio di canti e musiche non strettamente connesso alle operazioni materiali di vita e di lavoro del mare, e che si è quindi conservato maggiormente nella memoria storica e nell’uso delle popolazioni costiere; si tratta per lo più di canti, ma esiste anche qualche musica strumentale, che possono essere catalogati in due grandi generi: il cosiddetto canto epico narrativo - multistrofico e quello lirico-monostrofico.

Nel primo caso si tratta di canti multistrofici che raccontano storie e leggende legate alle tradizioni marinare; nella maggior parte dei casi i temi sono quelli comuni alla maggior parte del repertorio di ballate diffuse in tutta l’Europa. Ben pochi sono i temi originali italiani che non hanno riscontro nelle varie tradizioni della ballata europea: tra questi ci piace ricordare Mamma dammi cento lire, diffusa in tutta Italia in varie versioni, accomunate dal legame col fenomeno tipicamente italiano dell’emigrazione verso il Nuovo Continente.

Nel canto epico narrativo si verifica una fenomeno, tipico della musica popolare: ballate di tema diverso vengono cantate su musiche molto simili o, viceversa, la stessa ballata viene cantata su musiche che possono essere molto diverse da zona a zona.

Alcuni di questi testi, sia verbali che musicali, presentano a volte caratteri di arcaica e assoluta originalità che ne suggeriscono un’origine molto remota nel tempo.

Nel genere del canto lirico-monostrofico troviamo canti caratterizzati da andamento musicale piuttosto libero e ricco di melismi che, per così dire, fissano un momento psicologico particolare, legato magari anche solo occasionalmente ai temi della vita sul mare.

Come ha acutamente notato il caposcuola dell’antropologia italiana Alberto M. Cirese, i testi popolari ci pongono di fronte « a due diversi valori del mare: rischio, distacco, abbandono da un lato; letizia e diporto dall’altro. Abbiamo anche notato che nel primo caso si registra un andamento più realistico o perlomeno più familiare e quotidiano delle concezioni e delle immagini, e nell’altro invece si ha una più accentuata carica fantastica ed irreale.»

Ed è proprio qui che troviamo spesso la dimensione fantastica e onirica della vita sul mare, che da sempre ha incantato e stupefatto l’uomo con i suoi misteri e la sua bellezza arcana che si rivela solo, come il pesce della filastrocca ligure-toscana alle anime belle, che sono capaci di scoprirli, viverli ed apprezzarli:

«In mezzo dello mar c’è un pesce tondo;

Quando vede le belle a galla ascende,

Quando vede le brutte torna al fondo»

Una versione ligure di questa filastrocca è stata utilizzata da Fabrizio De Andrè nella sua canzone Sinan Capudan Pascià, che racconta la storia del mitico marinaio ligure Cicala, che catturato dai turchi, divenne in seguito Gran Visir del Sultano, col nome di Sinàn Capudan Pascià:

Intu mezu du mâ/ gh’è ‘n pesciu tundu/che quando u vedde ë brûtte/ u va ‘nsciù fundu/ Intu mezu du mâ/gh’è ‘n pesciu palla/ che quandu u vedde ë belle/ u vegne a galla .