Adottare un museo del mare

10 febbraio  -  Arrivati a Crotone ieri sera. Grazie alla Carmar abbiamo un ormeggio sicuro. E ce n’era davvero bisogno. In porto questa mattina raffiche a 25, 30 nodi e si è “ballato” anche stanotte in un concerto di scricchioli e fruscii da levare il sonno. Infatti quasi tutti, comandante escluso, si sono fatti una bella dormita. La dannazione del comando: essere sempre in allerta. Orecchie aperte per captare anche il minimo rumore anomalo.  Ci sarebbe da scrivere un tomo sui rumori di una barca. Se poi è una vecchia signora del 1944, i tomi diventano due.  L’orecchio si abitua a distinguere ogni singolo suono. Ci sono quelli familiari e normali: il cigolio del legno, le pompe dei bagni, le pompe delle acque grigie, il battito regolare del buon Perkins, la bizzosa drizza che sbatte contro l’albero e ti tocca alzarti nel cuore della notte perché ti sei dimenticato di legarla. Suoni normali che dicono che tutto va bene. Di solito in barca la frase “Hai sentito questo rumore?” è foriera di problema in arrivo. Una cosa che cerchiamo di spiegare sempre ai ragazzi: imparate ad ascoltare la barca. Sentirla  con le orecchie, con il corpo, con gli occhi. Osservate. Se imparano questo, il più è fatto.

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Il trasferimento da Gallipoli, la Città Bella, a Crotone è stato meno duro del previsto: onda e vento in poppa piena. Dopo qualche ora abbiamo ammainato le rande, con buona pace di quelli che sono soliti augurare vento in poppa. 

Dopo questa tappa, dove incontreremo i responsabili del Museo di Capo Colonna, faremo rotta su Messina per una sosta straordinaria alla Base Navale della Marina Militare e dopo la visita a Forte San Salvatore entreremo in Tirreno. È arrivato dunque il momento di fare qualche riflessione e considerazione su questa prima metà del viaggio in Adriatico e nello Ionio.

La sensazione dominante è la sorpresa. Sì, esatto: sorpresa. Non ci aspettavamo tutto quello che è successo. Le migliaia di persone che hanno accolto e visitato la barca, l’entusiasmo dei bambini, la ricchezza delle collezioni dei musei, le competenze e la qualità delle persone che li curano. E  l’attenzione delle amministrazioni locali, quella sì ci ha davvero sorpreso. La consideriamo un buon segnale per futuro.

Quando siamo partiti per questa avventura eravamo pronti a navigare “in solitario”.  Accendere i riflettori sui Musei del mare, parlare di cultura del mare anche a chi non ha mai messo un piede su una barca? «A chi volete che interessi? Museo è una parola polverosa...» ci ha risposto il responsabile della comunicazione di un grande cantiere quando gli  abbiamo chiesto un piccolo ( ma davvero piccolo) contributo per il Museo Navigante.  Un po’ ci ha depresso quella risposta. E se avesse avuto ragione?

Per fortuna nostra non ce l’aveva. C’è molto interesse per la cultura del mare e i musei non sono luoghi polverosi. Al contrario. Producono cultura, fanno didattica, ricercano, studiano. Ma loro sì navigano in solitario. Inutile girarci attorno: servono risorse. Soldi, personale e progetti di lungo respiro. Una delle costanti che abbiamo trovato navigando tra i musei dell’Adriatico è quella che tra noi abbiamo chiamato “la solitudine del curatore museale”. A parte il caso del Porto Museo di Tricase, esempio davvero interessante di quello che può fare la collaborazione tra pubblico e privato su progetti di lungo respiro, nella stragrande maggioranza dei musei il curatore, dipendente pubblico o associazione che sia, lavora con pochissime risorse. Tutto sta in piedi per passione. Del singolo o di un gruppo. In molti casi anche garantire l'apertura del museo è un’impresa. Le energie sono tutte concentrate sulla gestione quotidiana: la lampadina che salta, le pulizie, la formazione del personale precario che oggi c’è e domani chissà, le pratiche burocratiche. Eppure le cose vanno avanti, con una fatica spaventosa ma vanno avanti. Ed è solo grazie a questi “solitari” museali se il nostro patrimonio culturale del mare non è andato perduto.

Che ne sarebbe stato della storia della marineria adriatica se non ci fossero i musei di Cesenatico, Chioggia, Trieste, Cattolica, Pesaro, San Benedetto del Tronto, Martinsicuro, Bisceglie, Molfetta, Tricase?  Per non parlare dei musei naturalistici, presidi ambientali che potrebbero diventare straordinari luoghi di scienza diffusa  se solo avessero due soldi in più per pagare i ricercatori e le attrezzature  come si deve. Il museo Olivi di Chioggia, il museo di Pescara, quello di Punta Palascia, quelli di Gallipoli, Porto Cesareo e Nardò sono, già adesso, luoghi di educazione civica e ambientale , chissà che farebbero con un po' più di sghei. Per dirla alla veneta.

Non ci piace la protesta, pensiamo da sempre che sia il primo passo per la rassegnazione. E  in nessun porto che abbiamo toccato abbiamo sentito parole di protesta. Mai. Anche questo è significativo. La gente dei musei non mugugna. S’ingegna. Sono veri marinai.

Che fare allora? Tanto per cominciare trovare risorse. Dove? Noi una mezza idea ce l’avremmo. Pensiamo che le aziende del mondo marittimo e nautico che producono grazie alle competenze che nascono anche da una lunga storia marinara dovrebbero mettere mano al portafoglio e adottare uno dei Musei del mare di proprietà pubblica. Ne avrebbero, oltre che un beneficio morale, anche un beneficio fiscale grazie all’Art bonus che consente agevolazioni fiscali fino al 65% per le erogazioni liberali a sostegno della cultura. (Questo lo diciamo per il tizio dell’importante cantiere che pensa che cultura non faccia rima con fattura.)

E a proposito di Art bonus male non sarebbe male  se il prossimo governo integrasse il testo del legge 29 luglio 2014, n. 106 inserendo un comma specifico per il patrimonio culturale del mare e delle strutture che lo conservano, analogamente a quello che è stato fatto per il settore teatrale e musicale estendendo così i benefici fiscali anche a chi sostiente musei di enti privati.

Si può fare. Si deve fare.

Qui intanto trovate le info http://artbonus.gov.it/cose-artbonus.html  sull'art bomus

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