L'enigma di Rijeka, i marinai di Lovran nel ghiaccio dell'Artico e altre storie del Quarnero

Rijeka/Fiume è un groviglio architettonico che all’inizio sconcerta: architettura austro-ungarica e classicismo socialista, docks e grandi magazzini. Ma più ci si addentra nella storia della città questa stratificazione comincia ad acquisire un senso. La storia tradotta in pietre e cemento ha un suo fascino, sempre che non siate il genere di persone che apprezza solo gli skyline omologati delle metropoli globalizzate, o i vezzosi paesini rimessi a nuovo per turisti in cerca di suggestioni pittoresche.

rijeka ridjpg

A Rijeka/Fiume non troverete né gli uni né gli altri. Ciò detto, la città è un enigma. Nel Museo della marineria e del litorale croato abbiamo visto, tra l'altro, un intero corridoio di quadri di comandanti e armatori fiumani, una fila di quadri di brak, cioè brigantini a palo, costruiti alla fine dell’Ottocento nei cantieri della città, fotografie dei lavoratori marittimi del primo Novecento e il salvagente del Titanic arrivato nella capitale del Quarnero con l’equipaggio del Carpathia, la prima nave a rispondere alla chiamata di soccorso del gigante del mare. Il 14 aprile 1912 il Carpathia stava navigando da New York a Fiume quando raccolse la chiamata di soccorso del Titanic.
Il comandante si mise in rotta alla massima velocità e i cinquanta membri d’equipaggio, quasi tutti fiumani e croati, prestarono i primi soccorsi. Dopo aver portato i naufraghi a New York, il 6 maggio 1912 la nave entrava a Fiume, comandante ed equipaggio furono accolti con tutti gli onori dalle massime autorità. E così, che uno dei salvagenti del Titanic è arrivato a Fiume, allora uno dei porti più importanti dell’Adriatico. Se Trieste era la porta marittima dell’Austria, Fiume lo era dell’Ungheria.

Insomma nel Museo ci sono tracce del passato di una grande città portuale che, stranamente, sembra essere sparita. Intendiamoci, il porto c’è, ma gli fanno corona una fila di edifici in disarmo, le navi non sono molte e soprattutto non c’è quell’aria tipica delle grandi città portuali. Sembra esserci una cesura totale tra il porto e il resto della città. Un enigma. 

«Prima della guerra in rada c’erano anche trenta o quaranta navi, adesso invece …» ci dice un comandante di lungo corso con decenni di navigazione alle spalle, durante la festa a bordo della Kraljica Mora, la barca scuola dell’Istituto nautico dove ci ospitano dopo l'inaugurazione di Fiumare. Qui quando qualcuno dice «prima della guerra» bisogna sempre chiedere di specificare: quale guerra? In questo caso intende l’ultima, quella degli anni Novanta.

Secondo un docente del Nautico, invece, la crisi è cominciata sì dopo la guerra, ma la penultima, la Seconda guerra mondiale quando, con l’esodo di una buona parte della popolazione italiana, il porto perse una parte della manovalanza, sostituita da bosniaci e slovacchi, lavoratori senza una storia marittima alle spalle. Se a questo poi aggiungi la riduzione dei traffici di grano e soia con l’Ungheria, la concorrenza dei porti del sud del Mediterraneo, la crisi della cantieristica il risultato sono «75 mila posti di lavoro persi nel settore marittimo negli ultimi decenni». A darci i numeri è uno dei soci della  Lovranska Lantina  (letteralmente Antenna di Lovran), un’associazione che, nel piccolo paesino del golfo del Quarnero a poche miglia da Fiume, si occupa della salvaguardia del patrimonio marittimo.

Lovran è un luogo delizioso. Era il luogo di villeggiatura di fiumani e triestini, qui molti comandanti hanno fatto costruire le loro ville. I soci della Lovranska Lantina  ci aspettano sul molo, pronti a prenderci le cime e ad accompagnarci nel loro piccolo museo dominato da un gozzo e da una serie di modellini delle barche tradizionali del Quarnero. Camminiamo per il paese accompagnati dal loro entusiasmo che diventa  palpabile quando ci portano nel punto dove c'è la targa che ricorda Vicko Palmic, uno dei partecipanti alla spedizione polare Weyprecht-Payer che portò alla scoperta di quella che sarebbe poi stata rinominata Terra di Francesco Giuseppe. La nave, la  Tegetthoff , uno schooner  a tre alberi con 220 tonnellate di carico, 38.34  di lunghezza e un motore di 100 cavalli, restò intrappolata nei ghiacci e nel maggio del 1874 venne abbandonata. L'equipaggio, tutto composto da istriani e dalmati,  a piedi, con slitte e barche dopo  quattro mesi raggiunse Novaya Zemlya, quindi a bordo di una nave russa tornò a casa. Tutti tranne uno, l'esploratore Otto Kirsch che morì di turbercolosi. "Sopravvissero mangiando orsi, più di novanta" ci dice fiero uno dei nostri amici di Lovran mentre raggiungiamo la sede dell'Associazione dove ci aspetta un fantastico aperitivo a base di acciughe, fichi secchi e grappa buonissima. Qualche bicchiere dopo gli orsi sono diventati duecento. Ci raccontano anche delle loro vittorie nelle regate di barche tradizionali del Quarnero, del loro viaggio a Brest con quattordici barche e una quantità non registrata di prosciutti, grappe e ogni altro ben di dio, e del loro maestro d'ascia che entrando nella sede passa la mano su una barca che sta sistemando. Sembra quasi la stia accarezzando.

DSC_0091JPG
commenti sul blog forniti da Disqus